12.8.06

Una speranza per la sinistra?

E ora parliamo un po' di politica.

Premetto subito: io sono una persona di sinistra, quindi sono di parte. Però occuparsi di politica significa saper ascoltare, saper leggere e capire (attenti: capire non significa approvare, come spesso ci viene fatto credere) anche le tesi, i programmi della parte opposta. Se no, non si fa politica, ma populismo.

Il problema grosso però in questo momento sta non in noi poveri diavoli che ci occupiamo di politica, ma nella politica "professionista". In questo momento non vedo purtroppo programmi concreti da discutere, da approvare o da condannare. E non li vedo ne' a destra, ne' a sinistra, ne' tanto meno al centro.

Io vivo in Germania e quindi nel quotidiano sono più coinvolto nei fatti tedeschi, che in quelli italiani.
Nella primavera del 2005, dopo aver letto alcuni libri decisamente interessanti, scrissi per Rinascita Flash un articolo su un possibile programma per la sinistra in Germania (e in senso lato in Europa). Ve lo propongo perché alcune tesi di fondo sono tranquillamente valide anche per l'Italia (e magari prossimamente scriverò qualcosa di direttamente riferito all'Italia, prendendo spunto da alcuni interessanti libri di Bocca, Salvi e Giavazzi che ho letto di recente).

Buona lettura,

Mauro.

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Una speranza per la sinistra?

È crisi. Crisi politica, ideologica, elettorale per la sinistra. Crisi spesso personale per le persone che nella sinistra hanno creduto. E credono. E soprattutto per coloro che della sinistra e delle speranze che porta (o dovrebbe portare) hanno bisogno.

Cosa succede? Dove va la sinistra?

Tony Blair si sposta a destra e trasforma il partito laburista in una copia “telegenica” dei conservatori.
Gerhard Schröder si definisce rappresentante della “neue Mitte” e ascolta più gli industriali dei sindacati.
Piero Fassino rivaluta Craxi e si deve (o vuole?) appoggiare agli ex democristiani per battere (forse) Berlusconi.

E allora? Dove rimane e dove va la sinistra?

Questa sinistra non va da nessuna parte. Si è infilata in un vicolo cieco che può solo significare il trionfo della destra. O di una destra che usa nomi di sinistra.
Quali possono essere le ricette per cambiare la strada, per dare speranza a chi viene sempre più messo ai margini della società, sia civile che economica?

Negli ultimi tempi sono stati pubblicati qui in Germania vari libri che, di fatto, contengono non una speranza, ma un programma per la sinistra. Un programma pragmatico, realizzabile, concreto e “di sinistra”.
Libri che probabilmente Schröder e Müntefering (nonostante le sue populistiche uscite nel tentativo di ribaltare il trend per le elezioni nel Nordrhein-Westfalen) non hanno letto e non hanno nessun’intenzione di leggere. O, nella migliore delle ipotesi, non hanno capito.

È interessante partire da quanto scritto da un giornalista, non da un economista o un politico. Un giornalista non conservatore, ma non certo tacciabile di comunismo. Stiamo parlando del caporedattore degli interni della Süddeutsche Zeitung, Heribert Prantl, che nel suo ultimo libro (“Kein schöner Land”, Droemer, marzo 2005) fa un’analisi spietata della distruzione dello stato sociale con tutto ciò che comporta (e il sottotitolo è significativo: “Die Zerstörung der sozialen Gerechtigkeit“ – con accento sul fatto che “stato sociale”, di fatto, significa “giustizia sociale”).
Nel libro Prantl dimostra senza possibilità di smentita che la nuova legislazione in materia, le cosiddette riforme, sono una strada verso la povertà. Non solo per le singole persone, per le fasce più deboli, ma per lo stato tutto e in ultima analisi anche per il mondo economico. E soprattutto come questa strada può portare rischi alla pace sociale, non solo ai portafogli. Perché con i partiti popolari che si allontano dal popolo si libera spazio per il populismo. E NPD e DVÜ entrano nei parlamenti regionali.
Prantl non fornisce esplicitamente ricette per risolvere il problema, ma chi è capace di capire quanto legge e non si ferma alla lettera non può che concludere, grazie all’analisi concreta (non politica) presentata nel libro, che la strada per uscire dalla crisi è un ritorno allo stato sociale. Forse non così massiccio come negli anni ’70, ma di sicuro non quello prospettato dal “confindustriale” Schröder.

Prantl non è stato però il primo a mettere il dito nella piaga delle riforme. Qualche mese prima Albrecht Müller, economista SPD ed ex consigliere di Willy Brandt, aveva dato alle stampe un’analisi degli errori, non solo politici ma anche logici, e delle bugie che stanno dietro alle riforme (“Die Reformlüge”, Droemer, agosto 2004).
Müller elenca 40 di questi errori - divisi tra errori logici, bugie, promesse vuote – che stanno falsando il dibattito sulle riforme. Bugie ed errori che, guarda caso, portano tutti nella direzione voluta dall’industria e, soprattutto, dalla finanza. Riforme che sono solo un trionfo del cosiddetto libero mercato. Libero però non da ingerenze politiche od ostacoli statalisti, bensì da regole e doveri. Cioè selvaggio, non libero.
Müller non scrive da politico ma da economista, citando dati, numeri e mostrando tabelle. E soprattutto scrive in maniera semplice, riuscendo a farsi capire da tutti. Da tutti quelli cha hanno la voglia di capire. Alcuni argomenti presentati nel libro possono essere scomodi e forse antipatici, alcuni (molto pochi per la verità) dei 40 “errori” possono essere forse anche interpretati in maniera diversa, opposta. Ma nonostante tutto rimane una lettura utile.
Io direi necessaria.

Alle accuse, rivolte da alcuni cosiddetti “media moderati” ai due autori di cui sopra, di essersi appiattiti sulle posizioni del “traditore” Oskar Lafontaine (traditore di cosa? L’idea SPD è stata tradita da Schröder, che, di fatto, ha cacciato Lafontaine dal partito), rispondo parlando proprio del suo ultimo libro (“Politik für alle”, Econ, aprile 2005).
Questo testo fornisce per così dire un retroterra politico a quanto abbiamo visto nei libri di Prantl e Müller.
Il tema di base è sempre quello dell’ingiustizia sociale. Oltre alle conseguenze economiche della strada intrapresa dal governo, Lafontaine vede chiaramente anche il pericolo del definitivo allontanamento della politica dalla gente. Politica “per tutti” non solo nel senso che compito dello stato è quello di occuparsi di tutti i suoi cittadini (e non solo dei ricchi), ma anche nel senso che è compito dei partiti porsi in maniera tale da spingere la gente comune a occuparsi di politica, magari non in maniera attiva, ma almeno informandosi e seguendone gli sviluppi. E ciò si ottiene occupandosi delle cose concrete che riguardano la vita di tutti i giorni.
Il grosso timore di Lafontaine è una smobilitazione della democrazia, con la politica che va in direzione oligarchica e la gente comune in balia del populismo.

A una domanda però questi libri non danno risposta, almeno non esplicita.
Perché il liberismo trionfa se giova solo a pochi? La risposta banale, secondo cui trionfa perché questi “pochi” hanno il potere, non basta.
Una risposta la troviamo nell’ultimo lavoro del giornalista svizzero Jean Ziegler (“Die neuen Herrscher der Welt und ihre globalen Widersacher“, Goldmann, gennaio 2005).
Il libro non si occupa della situazione tedesca ne’ del futuro della sinistra, si occupa dei problemi della globalizzazione, però una delle tesi esposte in apertura risponde a mio parere benissimo alla domanda sul perché del trionfo del liberismo.
La finanza e in buona parte anche la politica non sono mai state sociali, l’obiettivo di un industriale o finanziere è sempre stato il massimo arricchimento personale, senza preoccupazione per le persone (dipendenti, clienti o concorrenti che siano). La divisione in blocchi, con il mondo comunista sovietico giusto fuori della porta, faceva però paura. Le elite destrorse dell’occidente temevano che i soviet potessero diventare un esempio per gli operai, i contadini, gli impiegati in Europa e Nord America, e quindi si è “inventato” lo stato sociale per tenerli buoni, per dimostrare che il sistema occidentale fosse il migliore anche per loro, non solo per i potenti.
Con la caduta del muro di Berlino e la fine del blocco sovietico questa paura è finita. Non c’era più nessun sistema alternativo a cui le classi medio-basse potessero guardare, quindi sono cominciate a cadere le maschere.
Chi teneva le redini ha potuto riprendere in mano anche la frusta.

Tornando alla sinistra, bisogna comunque pragmaticamente osservare che, per essere credibili, serve anche una politica estera, non solo una politica socio-economica.
Ha la sinistra una politica estera? Forse, ma di sicuro non una politica lungimirante. Si affrontano le varie situazioni di volta in volta, quando si presentano. Nessun partito di sinistra (vera o presunta) ha un programma concreto (tranne Tony Blair, il cui programma si può riassumere nella frase “Bush ha sempre ragione”).
Una bella analisi (se non una soluzione) ce la offre il sempre lucido ex cancelliere Helmut Schmidt nel suo ultimo libro (“Die Mächte der Zukunft”, Siedler, settembre 2004). Schmidt non parla esplicitamente di politica estera della sinistra, si occupa (apparentemente) della politica dell’Europa, al di là del colore dei governi che la guidano, ma è chiaro a chiunque che sta parlando in primis ai suoi eredi nella SPD e in seconda battuta agli altri partiti socialdemocratici europei.
Schmidt non si nasconde le difficoltà concrete dell’Europa, non nega neanche che alcune difficoltà siano indipendenti dalla volontà e dalla debolezza europea, ma indica una strada. Intanto una maggiore integrazione politica, non solo economica, in maniera da poter essere un serio contraltare (e si sottolinei contraltare, non nemico) degli Stati Uniti. E poi il riuscire ad allargare lo sguardo. Smetterla di limitarsi a guardare, come nemici o come amici poco importa, solo agli USA. Non nascondersi l’ascesa anche politica di paesi come la Cina. E capire che il problema demografico del terzo mondo è anche politico, non solo sociale.
Non si ferma qui Schmidt. Ma questo può già essere una buona base per una politica estera della sinistra.

Una speranza per la sinistra? La sinistra ha bisogno di un programma, non tanto di speranze. Un programma che abbia vista lunga, magari che la faccia passare anche attraverso una sana catarsi.
Questi libri possono fornire idee per costruirlo. Basta solo che si abbia il coraggio di pensare non solo alle prossime elezioni, ma che si torni a fare politica. Con la “P” maiuscola.