6.10.06

Mafia, Mafien... oder?

Esiste la mafia in Germania? Facile (e giusto) dire di sì, ma come? In quali forme esiste? Su questo tema si sprecano i pregiudizi e i luoghi comuni.

Esistono ormai innumerevoli studi sul tema... ma sembra quasi ci sia una certa paura a parlarne. Ma una paura strana, come se il rischio grosso non fosse quello di far "arrabbiare" la mafia, quanto quello di "sporcare" l'immagine della Germania. Un paese dove certe cose non ci sono.

Ho provato anch'io a dire la mia sul tema in un articolo pubblicato sul numero di novembre 2001 di Contrasto.

Premetto che l'articolo prima della pubblicazione era stato depurato di un paio di passaggi dalla redazione, non per censura, ma come misura di sicurezza (passaggi che andrò a ricercare e pubblicherò qui sopra).

Buona lettura,

Mauro.

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Mafia, Mafien... oder?

Gibt es die Mafia auch in Deutschland, oder doch nicht?

Qualche tempo fa, parlando con un avvocato qui in Germania, scoprii qualcosa di tutto sommato non assurdo, ma che mi stupì non poco: due città tedesche (Kempten e Münster) possono essere considerate come un “buen retiro” della mafia. Due luoghi dove i mafiosi che vogliono ritirarsi dagli “affari”, ma senza tradire, vanno a godersi la pensione. Due luoghi in cui, senza problemi, possono fare i pensionati. Ma perché proprio la Germania? Perché proprio queste due località?

La Germania non è certo famosa per la tolleranza verso le attività illegali, non è un paradiso fiscale, ha legami con l’Italia abbastanza forti da poter permettere agli inquirenti italiani di venire qui a chiedere alle autorità tedesche di darsi da fare (e viceversa). Quindi, sembrerebbe l’ultimo paese in cui un mafioso possa sentirsi sicuro. Eppure...

In effetti non è difficile capire l’importanza di città quali Münster e Kempten: luoghi tranquilli, dove (non solo per i cittadini, ma anche per le autorità) il quieto vivere è più importante della giustizia e quindi dove si possono fare i propri affari senza problemi, fino a che non si disturbano gli altri. Cittadine ricche, dove un afflusso ulteriore di denaro, di conseguenza, non fa notizia, e soprattutto cittadine in posizioni strategiche. Münster, apparentemente isolata, ma ben collegata a centri finanziari quali Francoforte, Colonia, Londra e Amsterdam. Kempten, apparentemente ancora più isolata, ma vicina alla Svizzera (la grande “lavatrice” di tutti i capitali mafiosi) e non troppo lontana dall’Italia.

Per di più città di un paese dove le leggi e le autorità sono sì severe, ma fino a poco tempo fa non abituate alla criminalità organizzata di stampo mafioso, quindi su certi argomenti “ingenue”.

Ma la Germania non è solo un luogo di pensionamento per mafiosi, se così fosse tanto l’Italia quanto la Germania potrebbero permettersi sonni più tranquilli.

Il legame tra la mafia e la Germania è molto più articolato e ha avuto origine in maniera sistematica negli anni Settanta, una volta finita l’ondata dei Gastarbeiter, con una vera e propria esplosione dopo il 1989, dopo la caduta del muro di Berlino.

Tutto sommato non è una sorpresa: la Germania è il cuore economico-finanziario d’Europa, quindi ogni tipo di commercio o attività finanziaria, legale o illegale, non può prescindere da questo paese. Per di più, dopo la caduta del muro e l’unificazione, essa è diventata la porta d’accesso privilegiata verso l’ex blocco sovietico, mercato vastissimo e non limitato da quelle regole che stanno frenando fortemente l’attività mafiosa all’interno della comunità europea.

A dimostrazione di questa centralità tedesca sta il fatto che recenti indagini (riportate in un reportage dal Corriere della Sera) hanno mostrato come un’organizzazione criminale molto meno organizzata e più “antiquata” della classica mafia, e cioè la ’ndrangheta calabrese, investe in Germania la maggior parte dei propri guadagni. Nel 1998, il quotidiano Die Welt, riportando dichiarazioni e rapporti dell’unità investigativa antimafia bavarese e del Bundeskriminalamt, tracciò un quadro sommario, ma interessante, delle attività mafiose in Germania.

Secondo tale rapporto, le organizzazioni criminali italiane stanno sempre più trasferendo attività oltralpe e la Germania non è più solo zona di “pensione” o di parcheggio per killer, ma si sta sempre più trasformando in territorio operativo, con sempre maggiore indipendenza dalle centrali in territorio italiano. Le principali attività in territorio tedesco sarebbero il traffico di droga e armi, affiancate dal traffico di schiavi (prostituzione, lavoro nero, ecc.), dalla produzione di denaro falso, ma soprattutto il riciclaggio di denaro sporco, con investimenti spesso legali.

La mafia “tedesca”, ovviamente, ha sviluppato un comportamento diverso nei confronti del territorio rispetto alle origini italiane. Il vero e proprio controllo del territorio, sovrapponendosi allo Stato, qui non esiste, in parte per la capacità dello stato stesso di opporvisi e in parte (forse soprattutto) per la terribile concorrenza delle mafie russa e turca, stabilitesi qui da anni. Le famiglie presenti in Germania fanno di tutto per mantenere un basso profilo, per non apparire, e ciò con lo scopo di poter lavorare indisturbate.

Del resto questo abbandono del controllo del territorio a favore di una finanziarizzazione delle attività sta procedendo anche in Italia. Ed è credibile che ciò non sia dovuto solo ai successi ottenuti dalle autorità italiane nella lotta contro la criminalità, ma che le conquiste economiche operate dalla mafia in paesi come la Germania e i Paesi Bassi possano essere servite da esempio.

Il cittadino tedesco, peraltro, è raramente in grado di rendersi conto di questo intreccio di interessi sporchi e dell’avanzata della mafia in Germania. Non è in grado di accorgersene in parte per la mancanza di strumenti culturali adeguati (fino a una ventina di anni fa le mafie erano fenomeni geograficamente circoscritti) e in parte per la capacità della mafia di nascondersi.

E non aiuta il fatto che spesso il giornalismo si sofferma sul lato romantico (il senso dell’onore e dell’appartenenza) o su quello brutale (la violenza, i fatti di sangue) della mafia. Due lati che nella realtà tedesca sono quasi assenti, ma che fanno vendere i giornali e riempire le sale dei cinema.

Il cittadino tedesco gradisce, eccome, questo tipo di descrizioni. Ciò è testimoniato anche dal successo avuto recentemente da un disco contenente le canzoni della ’ndrangheta, canzoni che parlano di onore, avventura, vendette, violenza. Disco pubblicato proprio in Germania e che in Italia non avrebbe avuto altrettanto successo.

I tedeschi sono comunque in buona compagnia: anche in Italia si comincia a credere che la mafia sia finita. E la si cerca nei cinema.

2.10.06

Gramsci e gli indifferenti

Qualche giorno fa ho pubblicato su questo blog un mio articolo critico nei confronti dell'astensionismo (Contro Ponzio Pilato), cercando di inquadrare il fenomeno da un punto di vista giuridico-costituzionale.

Due mesi dopo, sempre su Rinascita Flash, ho cercato di estendere l'analisi all'indifferenza in generale, partendo da una forte affermazione di Antonio Gramsci.

Buona lettura,

Mauro.

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Gramsci e gli indifferenti

Sull’ultimo numero di Rinascita Flash ho avuto la possibilità di pubblicare un articolo sull’invito a disertare i referenda da parte di chiesa e partiti. L’articolo cercava di dare un’inquadratura giuridico-costituzionale al tema, ma chi ha letto tra le righe ha capito di sicuro che il principale bersaglio della mia indignazione era il disinteresse verso la cosa pubblica del singolo cittadino. Che ricopra o meno cariche pubbliche.

Non sono certo ne' il primo ne' l’unico a indignarsi per questo disinteresse.
Un certo Antonio Gramsci già negli anni giovanili scrisse un interessante articolo per il numero unico „Città futura“ del 1917 dal titolo „Indifferenti“.

L’incipit dell'articolo è significativo e a distanza di quasi un secolo non ha perso assolutamente nulla della sua attualità. Anzi è oggi ancora più attuale che allora. E Gramsci sa di non essere originale: anche lui si rifà chi c’era già prima, per la precisione al filosofo tedesco Friedrich Hebbel:
«Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che „vivere vuol dire essere partigiani“. Non possono esistere solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti».

Non credo possano esistere parole più moderne e più concrete per descrivere le colpe di chi abdica alle proprie responsabilità, ma poi pretende di vedersi riconosciuti i propri diritti. Sì, sto parlando in primis di coloro che si astengono alle elezioni. Ma anche di tutti coloro che voltano lo sguardo dall’altra parte quando vedono problemi che non li riguardano personalmente. Ma poi si sentono vittime di chissà quale ingiustizia se non vengono aiutati quando hanno problemi loro.
Queste persone, è vero, non commettono nessun reato, non vanno contro la lettera delle leggi e delle costituzioni, però spesso producono danni morali e materiali molto maggiori di tante persone che commettono concretamente reati.
Perché? Nella maggioranza dei casi uno che commette un reato spera di non essere scoperto, però nel momento in cui è messo di fronte ai fatti piega il capo e si prende le proprie responsabilità (sto parlando di delinquenti che comunque sono esseri umani per quanto „negativi“, è chiaro che ciò non vale per tutti i delinquenti... un Adolf Hitler o un Jeffrey Dahmer dubito conoscessero anche solo la parola “responsabilità”). L’indifferente trova invece sempre una scusa per svicolare. E dato che non ha commesso reati, alla fine paga chi non è indifferente.

L’esempio migliore sono le elezioni parlamentari. Ultimamente abbiamo avuto in Europa continentale una media del 30% di astenuti. Ora, il 30% dei voti la grande maggioranza dei partiti se lo sognano... ma non è questo il problema. Il problema è che c’è chi ha votato per la maggioranza e quindi, a ragione, pretende che la maggioranza mantenga le promesse fatte, lamentandosi per l’ostruzionismo dell’opposizione. E c’è chi ha votato per l’opposizione e pretende, ugualmente a ragione, che questa prema sulla maggioranza, la spinga o la blocchi e la costringa a compromessi. Entrambe le parti in questo caso non fanno altro che esercitare diritti non solo giuridici, ma anche morali.
Ma la terza parte, coloro che non hanno votato? Che diritto hanno di lamentarsi se la maggioranza e/o l’opposizione li danneggianno? Del resto loro se ne sono lavati le mani della cosa pubblica. Che dovere (morale) ha la cosa pubblica di occuparsi di loro?

La cosa più grave è però che questa indifferenza si esprime nella vita in generale. Si lasciano morire gli altri (di fame, di malattia, di guerra) perché la cosa non ci riguarda. Però appena noi stessi, o un nostro caro amico o parente stretto, siamo in difficoltà, pretendiamo che la comunità (sia intesa in senso legale, cioè lo Stato, che in senso morale, cioè le singole persone) si occupi di noi.
Ne abbiamo diritto? Legalmente forse sì, ma a livello morale la risposta è solo una: no.

È facile fare solo da spettatori e poi lamentarsi se le cose non vanno come vorremmo. È così difficile capire che se ci fossimo sporcati le mani forse avremmo potuto contribuire a farle andare come vorremmo? Cito nuovamente Gramsci:
«I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità.» Chiaro, no?

Questo atteggiamento porta anche all’egoismo totale del mondo consumistico odierno. Dove l’importante è apparire non essere. E chi non è in grado di avere una „adeguata“ apparenza, non ha neanche il diritto di essere.
Al proposito posso „solo“ consigliare due letture estremamente interessanti.
La prima è un testo di Jean Ziegler che vi ho già consigliato in un altro articolo: „Die neuen Herrscher der Welt und ihre globalen Widersacher” (Goldmann, 2005). In particolare vi vorrei invitare a leggere pagina 283.
La seconda è l’ultima fatica di un giornalista italiano messo praticamente all’indice perché scomodo: Oliviero Beha. Il testo si intitola „Crescete e prostituitevi“ (BUR, 2005). Un testo che io definirei fondamentale per capire la situazione attuale, ma che è sconsigliabile da leggere se avete qualche scheletro (anche se magari in buona fede dimenticato) nell’armadio.

Ziegler e Beha sono però persone che non sono „indifferenti“. Magari non tutte le loro idee sono giuste e condivisibili, però entrambi hanno il coraggio di esprimerle. Non si tirano indietro. Non se ne lavano le mani.

La ricerca della superficialità, questa fuga dai pensieri forti, problematici è stata osservata anche da persone molto più vicine al cosiddetto pubblico, alla cosiddetta massa.
Tutti avrete sentito parlare dei concerti del „Live8“ organizzati per sensibilizzare i giovani e i governi sui problemi della povertà e della fame.
Uno di questi concerti è stato tenuto a Roma e uno dei gruppi italiani più amati dai ragazzini, „Le Vibrazioni“, dopo aver tenuto la sua parte di spettacolo, ai giornalisti che gli chiedevano le sue sensazioni ha rilasciato la seguente dichiarazione:
«Abbiamo avuto l’impressione di esibirci davanti a giovani insensibili, che vengono a vedere un artista che suona tre canzoni.»
Capite? Non è importante la motivazione dell’evento. È importante vedere il proprio idolo. Credo non servano altri commenti.

Chiudo citando l’ultima frase dello scritto di Gramsci, che non posso non fare mia:
«Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.»