14.7.06

Il Capitale: da Marx a Schröder, da Engels a D’Alema

Da tempo ormai si discute sulla fine del comunismo e su cosa si possa salvare delle idee di Marx nonostante le sue profezie non si siano avverate. Per la precisione dalla caduta del muro di Berlino con il trionfo (o presunto tale) del libero mercato.

Ma siamo sicuri che le profezie di Marx non si siano avverate? Io non ne sono proprio sicuro, almeno non del tutto.
L'unico problema è che coloro che guidano oggi la sinistra non se ne sono accorti. Sempre che ancora di sinistra si possa parlare.

Al proposito ho scritto il seguente articolo per il primo numero del 2006 di Rinascita Flash.

Buona lettura,

Mauro.

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Il Capitale: da Marx a Schröder, da Engels a D’Alema

Marx aveva ragione.
Proprio ora che il comunismo è crollato, che l’URSS non c’è più e che la Cina si sta aprendo al capitale, veniamo a dire che Marx aveva ragione. Ma se aveva ragione, perché i regimi basati sul suo insegnamento sono crollati?

Siamo sicuri che detti regimi nascessero dall’insegnamento suo (e di Engels e altri)? O, se veramente così fosse, che tale insegnamento fosse stato capito?

Cominciamo col ricordare che Marx era un economista e un filosofo, prima che un politico. E la sua analisi spiegava per prima cosa in quali condizioni doveva trovarsi la società per poter dare il via all’instaurazione di un governo comunista. E solo dopo spiegava che tipo di governo avrebbe dovuto essere.
I suoi epigoni nei paesi cosiddetti comunisti hanno, nella migliore delle ipotesi, invertito i termini. Prima hanno instaurato dato governo e poi hanno cercato di far sì che la società arrivasse al punto previsto da Marx.

Ma oggi, anno 2005, la società (negativa) ipotizzata da Marx come punto ultimo del capitalismo si è realizzata. Anche se tutti gli economisti “moderni” (liberisti compresi) la ritenevano un’esagerazione, essa oggi esiste.
Se questa società sarà anche capace di provocare una reazione che porti all’instaurazione di un vero comunismo o comunque un cambiamento lo vedremo negli anni a venire. E sinceramente (positivo o negativo che sia un tale sviluppo) su questo c’è tutto il motivo di essere scettici, non essendoci partiti in grado di incarnare questa speranza.

Torniamo ora però all’origine: quale società aveva previsto Marx come apice del capitalismo? Appunto il capitalismo nel senso più puro e verace del termine: una società regolata dal capitale, non dall’uomo, non dall’industria, non dalla produzione, ma dal denaro stesso. Una società dove il denaro non è più il mezzo per ottenere qualcosa, ma dove il denaro è il solo e unico fine, dove il resto è un mezzo per ottenere denaro.
E oggi siamo in questa situazione: la finanza ha soppiantato l’industria. Non solo l’operaio, ma la fabbrica stessa è diventata solo una vacca da mungere nel più breve tempo possibile. Ciò che conta è la rendita, non la produttività. L’operaio, il minatore, il bracciante non sono neanche più uno schiavo per produrre, ma solo voci nella colonna delle spese.
E così si spiega che la Deutsche Bank, per esempio, raggiunge profitti record e subito dopo annuncia di voler tagliare migliaia di posti di lavoro. E questo annuncio fa salire le quotazioni in borsa.

La forbice tra ricchezza e povertà si allarga sempre di più, e in mezzo rimangono sempre meno persone. I ricchi crescono (poco) di numero e i poveri anche (ma tanto, non poco). Quello che un tempo definivamo ceto medio sta lentamente sparendo.
E non si parla di Cina o India, ma di Italia (leggasi: Dario Di Vico e Emiliano Fittipaldi, “Profondo Italia”, BUR, settembre 2004), Germania (leggasi: Arbeitsgruppe Alternative Wirtschaftspolitik, “Memorandum 2005”, PapyRossa, aprile 2005), Austria (leggasi: Hans Weiss e Ernst Schmiederer, “Asoziale Marktwirtschaft”, Kiepenheuer & Witsch, maggio 2005 - libro che parla anche di Germania, non solo di Austria). E del resto dell’Occidente.
E questa divisione è accompagnata da una sempre minore coscienza sociale delle classi dominanti. Un tempo gli industriali, magari più per lavarsi la coscienza che per vera comprensione e compassione dei problemi degli operai, costruivano ospedali, biblioteche, teatri o altro. Lo facevano anche perché conoscevano le facce dei poveri. La fabbrica era il loro mondo e ciò che vedi colpisce molto di più di ciò che solo leggi o ti viene raccontato.
Oggi non c’è più quell’industriale, c’è il finanziere che vive nel suo ufficio, che non ha mai messo piede in un fabbrica (neanche nell’ovattato ufficio del direttore di stabilimento), che non ha mai visto la faccia di un operaio o di un impiegato.

L’impersonalità, l’isolamento. O la vergogna, per dirla con Jean Ziegler (“Das Imperium der Schande”, C. Bertelsmann, 2005).
O meglio ancora il male, come aveva già capito decenni fa Bertolt Brecht, il quale disse: "Oggi il male ha un indirizzo. E anche un numero di telefono", pensando alle sedi delle grandi multinazionali.
E dai tempi di Brecht le cose si sono ancora più estremizzate. Basti pensare che oggi le 500 più grandi aziende (e con aziende non intendiamo la fabbrica, la singola marca, ma le holding, le strutture finanziarie) controllano più della metà del prodotto mondiale. E danno lavoro a sempre meno operai e impiegati.

Siamo appunto arrivati nelle condizioni previste da Marx: il capitale, impersonale, regna. Non il capitalista o l’industriale, ma il capitale stesso.
E questa società capitalista-finanziaria era il punto da cui Marx faceva partire la possibilità di una rivoluzione comunista. Non la società industriale dell’Inghilterra o della Germania dell’800, né tanto meno la società contadina della Russia o della Cina del ‘900.

Cosa succederà nei prossimi anni? È difficile da prevedere, dato che la variabili in gioco sono tante, ma di sicuro non ci aspettano tempi rosei.
Forse tornerà una coscienza sociale grazie alla sofferenza comune di tanti, forse le grandi aziende metteranno le mani definitivamente anche su eserciti, polizia e simili per non avere più bisogno della struttura stato, forse il capitale crollerà da solo perché senza beni da vendere e comprare... a cosa serve il denaro?

Di sicuro Marx e Engels avevano visto lontano.
Schröder, D’Alema e gli altri leader della sinistra, col loro piegarsi alle leggi del mercato (cioè del capitale) senza capire che è un vicolo cieco, non vedono altrettanto lontano. E rischiano di tagliare loro stessi le ali al cambiamento che può nascere dalla base, dal popolo.