20.10.06

Omaggio a Fabrizio De André

Negli ultimi tempi sembra essere riscoppiata una "moda" De André.

Tutti cantano le sue canzoni senza che nessuno glielo chieda. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati Claudio Baglioni (che non giudico, non avendo ancora ascoltato le sue interpretazioni di De André) e Gianni Morandi... quest'ultimo con un'interpretazione infamante sia della memoria di Fabrizio sia della sua propria carriera.

E allora io ritiro fuori l'articolo che scrissi in suo ricordo poco dopo la sua morte nel 1999 per Contrasto.

Qui vi presento la versione "breve" per la versione a stampa. In un prossimo messaggio presenterò la versione completa, pubblicata solo in rete.

Buona lettura,

Mauro.

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Omaggio a Fabrizio De André

Mit dem Tod des genuesischen Liedermachers endet eine Epoche in Italien

L'11 Gennaio scorso è scomparso, a causa di un tumore, Fabrizio De André. Questa è la notizia che all’inizio dell’anno ha scosso l’Italia della musica e della cultura, ma anche quella della gente comune. Notizia che nessuno si aspettava, anche se, in realtà, i più attenti avevano già potuto cogliere una sorta di definitivo commiato nel titolo del suo ultimo lavoro, scritto al passato (l’antologia “M’innamoravo di tutto”).

Ma chi è stato Fabrizio De André? Cosa significa per la musica italiana la sua scomparsa?

De André era nato a Genova, il 18 Febbraio del 1940. Di famiglia altoborghese, studente di giurisprudenza svogliato, ha sempre preferito la Genova dell’angiporto, quella dei disperati, alla Genova ricca e fortunata. I suoi compagni di strada, reali o metaforici, sono stati puttane e ubriaconi, emarginati e drogati. Mentre a chiesa e istituzioni non ha risparmiato il sarcasmo.

La scelta dei disperati rispetto ai fortunati era prima esistenziale che politica: non sopportava i doveri materiali, l’efficientismo estremo, la “necessità” di produrre insita nella nostra società. Ha infatti inciso pochissimo rispetto ai classici ritmi dell’industria discografica (ma molto rispetto alla propria indole pigra).

Negli anni sessanta cominciò a comporre. E gli ascoltatori scoprirono nella sua musica che l’arte e la poesia possono essere la più radicale delle rivolte. Con gli anni lui rimase sempre uguale, col suo anarchismo e il suo pacifismo, pacifismo per nulla incruento. Le sue canzoni erano dure, facevano male. I contenuti erano animosi, acri, tendenti all’invettiva. Pochi hanno saputo colpire duramente come lui la società. La sua rabbia sfociava in poesia, dove forse un altro avrebbe ceduto al terrorismo. Ma la sua arma, emulo di Pasolini, era il linguaggio.

Comincia insieme a Luigi Tenco col jazz, prima di creare uno stile proprio - scabro, crudo, pungente, ispirato agli chansonniers francesi. Il suo primo singolo, del 1958, passa inosservato. La fama arriva nel 1965, con “La canzone di Marinella”, da lui scritta e interpretata da Mina. Nel 1968 il suo primo album, con “Bocca di rosa” e “Via del Campo”.

La consacrazione è del 1969, quando incide “Tutti morimmo a stento” e “Fabrizio De André vol. 2”. Dei quali, il secondo contiene brani come “La canzone di Marinella”, “La guerra di Piero”, “Il testamento”; mentre il primo è un album a tema con brani di ampio respiro. Anche nel 1970 incide due album: “Volume III” e “La buona novella”. Ne “La buona novella” mette audacemente in musica i Vangeli apocrifi. L’album successivo, “Non al denaro né all’amore né al cielo”, è tratto dall’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters e contiene quello che De André considerava il proprio autoritratto: “Il suonatore Jones”.

Il suo disco più politico è del 1973, “Storia di un impiegato”, ispirato ai moti studenteschi (“Il bombarolo” ne è la canzone simbolo). Nei due dischi successivi collabora con successo con Francesco De Gregori e traduce Cohen e Dylan. Nel 1978 pubblica “Rimini”. Fa seguito la lunga tournée con la Premiata Forneria Marconi, che vede la sua musica reinterpretata in chiave rock. Tournée, divenuta ormai quasi leggenda.

Nel 1979 viene rapito. Fabrizio dedicherà nel 1981 a questa segnante esperienza una canzone dolorosa e splendida, “Hotel Supramonte”. Tre anni più tardi esce “Creuza de mä”, un album entrato nella storia, il suo capolavoro assoluto. Il disco è un viaggio nella musica del Mediterraneo, cantato interamente in dialetto genovese. Nell’album successivo, “Le Nuvole”, De André si ispira ad Aristofane e canta la morte degli ideali. L’ultimo disco di inediti, “Anime salve”, viene concepito insieme a Ivano Fossati, forse il suo vero erede musicale.

Con la sua morte si chiude un’epoca: la sua libertà di pensiero era, e probabilmente rimarrà, unica. De André non è mai stato di moda. La moda passa. Le canzoni di De André restano e conservano il loro fascino. Canzoni da non dimenticare.