2.8.06

Esco dal coro

Qualche giorno fa è stato votato in Parlamento l'indulto. Di ciò ho già parlato in breve nel mio altro blog (Pensieri eretici) e non voglio ritornarvi sopra qui.

Però una frase del guardasigilli Mastella mi ha colpito. Quando ha detto che dedica questo evento al ricordo di Wojtyla.
Forse sarebbe però il caso di guardare la figura di Wojtyla un po' più in profondità senza fermarsi alla superficie di idolo mediatico delle folle.

E al proposito scrissi un articolo per il terzo numero del 2005 di Rinascita Flash, a papa appena sepolto e nuovo papa appena eletto.

Buona lettura,

Mauro.

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Esco dal coro

È morto il Papa. Viva il Papa.

In sostanza possiamo riassumere con queste parole tutto il carnevale mediatico che è andato in scena a Roma nelle ultime settimane.
E le urla “Santo, Santo”... e i panegirici sui mezzi di informazione... e la parata di amici e nemici al funerale...
Ma è tutto oro quel che luccica?
La risposta, per quanto antipatica, è univoca e precisa: No. Anzi, d’oro (a parte il rifiuto delle due guerre del Golfo, spiegabile però come puro atto politico, destinato a rimettere il Vaticano al centro dei giochi diplomatici internazionali, non certo come atto morale) ce ne è ben poco in questo pontificato appena finito e già titolato “epocale”.

L’analisi più lucida degli atti di Wojtyla è stata operata dal teologo Hans Küng, docente di teologia all’universitá di Tubinga e uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II (dove Giovanni XXIII lo chiamò come consulente in materia teologica), pubblicata dal Corriere della Sera lo scorso 26 marzo, quando cioè Wojtyla era ancora in vita.
Egli elenca undici punti negativi che fanno del papato appena concluso non il più grande, bensì il più contradditorio (per non dire di peggio) dei tempi recenti. Ma soprattutto fanno di Wojtyla il Papa che ha riportato indietro la Chiesa, fino a prima del Concilio, se non ancora più indietro.
Tra questi punti ve ne sono alcuni estremamente forti, che dovrebbero far pensare, ma che sembra comodo dimenticare.

Come il celibato dei sacerdoti (tra le altre cose in contrasto con gli insegnamenti originari della Bibbia), che porta al crollo delle vocazioni e indirettamente agli scandali dei preti pedofili. Scandali che la Chiesa ha oltretutto sempre cercato di coprire, senza ne’ affrontare il problema alla radice ne’ punire i colpevoli (caso esemplare l’ex cardinale di Boston, Law, che è stato rimosso dalla diocesi nordamericana per vedersi assegnato un incarico di prestigio a Roma, che lo ha portato a essere uno dei quattro cardinali celebranti le messe in suffragio di Wojtyla).

Come il culto di Maria, accompagnato però dalla negazione dei diritti delle donne (e, sia detto per inciso, a mio modestissimo parere questo culto mariano puzza di eresia, in quanto elegge Maria a divinità praticamente pari a Dio, smentendo quindi il monoteismo cristiano).

Come la canonizzazione di quantità “industriali” di santi (svilendo quindi l’esempio e l’eccezionalità che dovrebbero essere connessi alla santità), ma soprattutto la canonizzazione di figure per lo meno discutibili, come Pio IX, il papa antisemita, l’imperatore asburgico Carlo I o Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, vicino al franchismo e a tutti gli intrighi finanziari possibili. E contemporaneamente ha cercato, spesso con successo, di mettere a tacere voci critiche e indipendenti all’interno della Chiesa (pensiamo a Eugen Drewermann o al vescovo di Evreux Gaillot).

Come le apparenti confessioni dei peccati e degli errori della Chiesa, senza però accompagnarle con parole chiare e con una vera autocritica: ha sempre chiesto perdono per gli errori “dei figli e delle figlie della Chiesa”, ma mai per quelli del Papa, della Chiesa come istituzione o delle sue alte gerarchie. E sempre per errori passati, ormai di interesse solo storico. Mai per gli scandali finanziari (Banca Vaticana, per esempio), per omicidi legati ad affari della Chiesa (Roberto Calvi) o per tutti i già citati scandali legati alla pedofilia.

Ma Hans Küng non è solo nella condanna. Più dura ancora è la condanna dei tanti fedeli non acritici, i tanti fedeli che credono in Dio, ma non sono stati soggiogati dal carisma mediatico del papa polacco.
Una lettrice del Corriere della Sera si chiede, in una lettera al giornale scritta dopo la morte di Wojtyla: “può essere considerato veramente un Papa al servizio dei poveri e amico dei giovani, un Papa che fino alla fine si è schierato contro ogni apertura verso il moderno, verso la libertà individuale di scelta nell'avere un figlio o non averlo, un Papa che ciecamente non ha voluto riconoscere, nella diffusione del preservativo in Africa, un'arma, forse per ora la sola, contro la diffusione dell'Aids? Non poteva, perché lui rappresentava la Chiesa? Ma chi altri, se non il «capo» della Chiesa terrena, poteva farlo?”.

Ma possono milioni di persone, soprattutto milioni di giovani sbagliarsi così radicalmente sulla figura di Wojtyla e chiederne la santificazione immediata?
Sì, possono.
Non dimentichiamoci che la società attuale è una società mediatica. Le persone vengono giudicate non in base agli atti e alle parole, ma in base al carisma che riescono a trasmettere attraverso i media, tradizionali e non. Non per niente, oggi hanno successo persone come Berlusconi, Blair, Wojtyla, persone che 50 anni fa, senza TV, non avrebbero certo potuto smuovere le masse. Figure che non parlano alla gente, alle persone, ma parlano al pubblico, agli spettatori.
E vengono seguiti da folle acritiche, folle che non hanno bisogno di una guida, ma di chi pensi per loro.

Come spiegare se no il culto tributato dai giovani al Papa più reazionario (ha rinnegato la collegialità del Papa con i vescovi, sancita dal Concilio Vaticano II, per accentrare tutto il potere in sé, come i papa-re di antica memoria), più antisociale (come si fa condannare la contraccezione in una messa tenuta vicino alle favelas brasiliane?), più egoista (sì anche egoista: miliardi e miliardi buttati in viaggi di cosiddetta evangelizzazione, con costi per il Vaticano e per i paesi ospitanti, spesso poveri, senza mai un atto concreto per alleviare la povertà, la fame, i bisogni di miliardi di persone) del ‘900?
Lo si può spiegare appunto solo con l’intellegente sfruttamento della comunicazione, dell’immagine, dei media.
Un Papa che fino all’ultimo è riuscito a curare il proprio culto della personalità (di fatto tanto simile a quello dei dittatori nordcoreani), a crogiolarsi nella propria auto-divinizzazione fino quasi a credersi non il rappresentante di Dio, bensì Dio stesso, esibendo la propria morte in pubblico, illudendosi forse di poterla vincere, come fece Cristo.

E ci sarebbero ancora tanti esempi che rendono questo Papa perlomeno discutibile.

Vorrei chiudere ricordando una foto, un perfetto esempio di questo papato.
Wojtyla che si affaccia sul balcone del palazzo presidenziale di Santiago del Cile nel 1987 in compagnia di Augusto Pinochet, al quale strinse la mano e col quale si intrattenne e a cui non chiese conto delle torture, degli omicidi, delle sparizioni avvenute a migliaia sotto la sua dittatura.
E prima e dopo questa foto, la lotta senza quartiere contro la Teologia della Liberazione, il movimento che cercava per prima cosa di affrancare gli abitanti delle favelas dalla povertà, vista giustamente come problema più drammatico rispetto al peccato.

Amen.