2.10.06

Gramsci e gli indifferenti

Qualche giorno fa ho pubblicato su questo blog un mio articolo critico nei confronti dell'astensionismo (Contro Ponzio Pilato), cercando di inquadrare il fenomeno da un punto di vista giuridico-costituzionale.

Due mesi dopo, sempre su Rinascita Flash, ho cercato di estendere l'analisi all'indifferenza in generale, partendo da una forte affermazione di Antonio Gramsci.

Buona lettura,

Mauro.

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Gramsci e gli indifferenti

Sull’ultimo numero di Rinascita Flash ho avuto la possibilità di pubblicare un articolo sull’invito a disertare i referenda da parte di chiesa e partiti. L’articolo cercava di dare un’inquadratura giuridico-costituzionale al tema, ma chi ha letto tra le righe ha capito di sicuro che il principale bersaglio della mia indignazione era il disinteresse verso la cosa pubblica del singolo cittadino. Che ricopra o meno cariche pubbliche.

Non sono certo ne' il primo ne' l’unico a indignarsi per questo disinteresse.
Un certo Antonio Gramsci già negli anni giovanili scrisse un interessante articolo per il numero unico „Città futura“ del 1917 dal titolo „Indifferenti“.

L’incipit dell'articolo è significativo e a distanza di quasi un secolo non ha perso assolutamente nulla della sua attualità. Anzi è oggi ancora più attuale che allora. E Gramsci sa di non essere originale: anche lui si rifà chi c’era già prima, per la precisione al filosofo tedesco Friedrich Hebbel:
«Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che „vivere vuol dire essere partigiani“. Non possono esistere solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti».

Non credo possano esistere parole più moderne e più concrete per descrivere le colpe di chi abdica alle proprie responsabilità, ma poi pretende di vedersi riconosciuti i propri diritti. Sì, sto parlando in primis di coloro che si astengono alle elezioni. Ma anche di tutti coloro che voltano lo sguardo dall’altra parte quando vedono problemi che non li riguardano personalmente. Ma poi si sentono vittime di chissà quale ingiustizia se non vengono aiutati quando hanno problemi loro.
Queste persone, è vero, non commettono nessun reato, non vanno contro la lettera delle leggi e delle costituzioni, però spesso producono danni morali e materiali molto maggiori di tante persone che commettono concretamente reati.
Perché? Nella maggioranza dei casi uno che commette un reato spera di non essere scoperto, però nel momento in cui è messo di fronte ai fatti piega il capo e si prende le proprie responsabilità (sto parlando di delinquenti che comunque sono esseri umani per quanto „negativi“, è chiaro che ciò non vale per tutti i delinquenti... un Adolf Hitler o un Jeffrey Dahmer dubito conoscessero anche solo la parola “responsabilità”). L’indifferente trova invece sempre una scusa per svicolare. E dato che non ha commesso reati, alla fine paga chi non è indifferente.

L’esempio migliore sono le elezioni parlamentari. Ultimamente abbiamo avuto in Europa continentale una media del 30% di astenuti. Ora, il 30% dei voti la grande maggioranza dei partiti se lo sognano... ma non è questo il problema. Il problema è che c’è chi ha votato per la maggioranza e quindi, a ragione, pretende che la maggioranza mantenga le promesse fatte, lamentandosi per l’ostruzionismo dell’opposizione. E c’è chi ha votato per l’opposizione e pretende, ugualmente a ragione, che questa prema sulla maggioranza, la spinga o la blocchi e la costringa a compromessi. Entrambe le parti in questo caso non fanno altro che esercitare diritti non solo giuridici, ma anche morali.
Ma la terza parte, coloro che non hanno votato? Che diritto hanno di lamentarsi se la maggioranza e/o l’opposizione li danneggianno? Del resto loro se ne sono lavati le mani della cosa pubblica. Che dovere (morale) ha la cosa pubblica di occuparsi di loro?

La cosa più grave è però che questa indifferenza si esprime nella vita in generale. Si lasciano morire gli altri (di fame, di malattia, di guerra) perché la cosa non ci riguarda. Però appena noi stessi, o un nostro caro amico o parente stretto, siamo in difficoltà, pretendiamo che la comunità (sia intesa in senso legale, cioè lo Stato, che in senso morale, cioè le singole persone) si occupi di noi.
Ne abbiamo diritto? Legalmente forse sì, ma a livello morale la risposta è solo una: no.

È facile fare solo da spettatori e poi lamentarsi se le cose non vanno come vorremmo. È così difficile capire che se ci fossimo sporcati le mani forse avremmo potuto contribuire a farle andare come vorremmo? Cito nuovamente Gramsci:
«I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità.» Chiaro, no?

Questo atteggiamento porta anche all’egoismo totale del mondo consumistico odierno. Dove l’importante è apparire non essere. E chi non è in grado di avere una „adeguata“ apparenza, non ha neanche il diritto di essere.
Al proposito posso „solo“ consigliare due letture estremamente interessanti.
La prima è un testo di Jean Ziegler che vi ho già consigliato in un altro articolo: „Die neuen Herrscher der Welt und ihre globalen Widersacher” (Goldmann, 2005). In particolare vi vorrei invitare a leggere pagina 283.
La seconda è l’ultima fatica di un giornalista italiano messo praticamente all’indice perché scomodo: Oliviero Beha. Il testo si intitola „Crescete e prostituitevi“ (BUR, 2005). Un testo che io definirei fondamentale per capire la situazione attuale, ma che è sconsigliabile da leggere se avete qualche scheletro (anche se magari in buona fede dimenticato) nell’armadio.

Ziegler e Beha sono però persone che non sono „indifferenti“. Magari non tutte le loro idee sono giuste e condivisibili, però entrambi hanno il coraggio di esprimerle. Non si tirano indietro. Non se ne lavano le mani.

La ricerca della superficialità, questa fuga dai pensieri forti, problematici è stata osservata anche da persone molto più vicine al cosiddetto pubblico, alla cosiddetta massa.
Tutti avrete sentito parlare dei concerti del „Live8“ organizzati per sensibilizzare i giovani e i governi sui problemi della povertà e della fame.
Uno di questi concerti è stato tenuto a Roma e uno dei gruppi italiani più amati dai ragazzini, „Le Vibrazioni“, dopo aver tenuto la sua parte di spettacolo, ai giornalisti che gli chiedevano le sue sensazioni ha rilasciato la seguente dichiarazione:
«Abbiamo avuto l’impressione di esibirci davanti a giovani insensibili, che vengono a vedere un artista che suona tre canzoni.»
Capite? Non è importante la motivazione dell’evento. È importante vedere il proprio idolo. Credo non servano altri commenti.

Chiudo citando l’ultima frase dello scritto di Gramsci, che non posso non fare mia:
«Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.»

1 commento:

Anonimo ha detto...

Hai messo insieme Hitler e Jeffrey Dahmer ma non sono la stessa cosa. Hitler era un lucido criminale,mentre Dahmer era un puro mostro. Hitler sapeva il peso della 'responsabilità' ma nel modo rovesciato dal punto di vista umanistico. Uccidere gli ebrei era per Hitler una 'missione' da compiere per il bene dell'umanità e si sentiva responsabile di non averlo fatto. Quindi, nella sua mente degenerata esiste l'idea di 'responsabilità' seppure in modo rovesciato. Dahmer non si sente responsabile di niente perchè vuole solo soddisfare le sue perversioni. Quella di Hitler è lucida crudeltà a differenza di Dahmer che invece è esclusivamente folle. Hitler è spietato mentre Dahmer è pazzo. Il paragone che hai fatto non è proprio sbagliato ma non è neanche giusto per rendere l'idea di quello che stai dicendo perchè si tratta di due menti malvage ma diverse.
Spero che tu mi abbia capito.